MICHAEL JACKSON INNOCENTE 10° ANNIVERSARIO: MESEREAU RICORDA IL VINDICATION DAY

 

10 anni fa giustizia è stata fatta. Alle 02:25 pm del fuso orario del Pacifico del 13 giugno 2005, i giurati del processo penale per abuso su minore contro Michael Jackson respinsero uno dopo l’altro i 14 capi di imputazione a suo carico con il verdetto all’unanimità NOT GUILTY.

“L’Uomo è innocente. Lo è sempre stato” disse Tom Mesereau, l’avvocato a capo della sua difesa, per suggellare quel trionfo. E da quel 13 giugno 2005, non ha mai smesso di promulgare la Verità, vale a dire l’INNOCENZA di Michael Jackson.

Di seguito, la sintesi delle 2 interviste che Mesereau ha rilasciato in occasione del 10° anniversario del cosiddetto Vindication Day, una concessa al giornalista Charles Thomson per il podcast TheMJCast: https://www.youtube.com/watch?v=BcRS6SlNdEg l’altra a King Jordan per il suo blogtalkradio: http://www.blogtalkradio.com/jordan-king/2015/06/13/tom-mesereau-friends-10-year-anniversary-of-mj-being-found-not-guilty-show

Sintesi intervista con Charles Thomson e i conduttori di TheMJCast:

CT: Ciao, benvenuti all’MJCast. Io sono Charles Thomson e sono lietissimo di essere stato invitato come co-presentatore ospite di questa edizione speciale di oggi. Sono lietissimo perché oggi si unirà a noi uno degli avvocati più stimati e riconosciuti del mondo, Thomas Mesereau, noto soprattutto per aver ottenuto la vittoria nel processo penale più seguito della storia mondiale, quando ha scagionato Michael Jackson da 14 capi d’accusa per molestie su minore, cospirazione e somministrazione di alcol a un minore. Questi verdetti furono emessi il 13 giugno 2005 e oggi lui si unisce a noi per la ricorrenza del 10° anniversario. Lui ha accettato di essere in linea con noi per tutto il tempo che desideriamo e di rispondere a qualsiasi domanda gli faremo. È un privilegio averlo con me oggi. Insieme a noi ci sono anche i presentatori abituali del podcast, Jamon e Q.

Jamon: Sono particolarmente onorato di essere con tutti voi oggi, che fantastica opportunità per MJCast e tutta la comunità dei fan.

Q: Buongiorno da Perth, Australia. Mi sento umilmente onorato, penso che questo sarà un eccellente episodio n° 10, specialmente per il 10° anniversario del Vindication Day.

Jamon: Tom, è semplicemente fantastico averla qui con noi all’MJCast, grazie infinite per aver accettato di intervenire nel nostro programma oggi per discutere il suo lavoro con Michael accettando la sua difesa nel 2005.

TM: L’onore e il piacere fu mio. Come ho detto più volte, lui era una delle persone più carine e gentili che abbia mai incontrato, fu una gioia poterlo rappresentare. Mi dispiace che lui sia dovuto passare per una pena e una sofferenza simile, ma per me fu un grande onore e un grande evento storico farne parte per un penalista come me. Sento di essere stato benedetto a poterlo difendere.

Q: E noi come fan la ringraziamo tantissimo per tutto il supporto che ha dato anche dopo il processo, Tom. Credo lei sia stato un pilastro non solo per Michael, ma anche per la comunità dei fan. La prima domanda che vorremmo chiederle è semplicemente come è cresciuto e che tipo di infanzia ha avuto.

TM: Beh, io sono nato a West Point, New York, all’Accademia Militare degli Stati Uniti. Mio padre era un diplomato di quell’Accademia come mio zio, e mio nonno fu un membro onorario della classe del 1915, che è stata una famosa classe della West Point che includeva il Presidente Eisenhower e famosi generali statunitensi. Ho ricevuto gran parte della mia educazione nel New Jersey, a circa 45 minuti da West Point, ma l’Accademia ha influenzato molto l’atmosfera in cui sono cresciuto. Da parte di mia madre, suo padre era italiano, aveva un ristorante italiano a NY, che all’epoca era molto rinomato. Entrambe le mie nonne erano di NY con origine irlandese e il padre di mio padre era franco-irlandese, lui allevò mio padre e la sua famiglia nel New Jersey. Ricevemmo una rigida educazione cattolica, ho frequentato una scuola cattolica dove ho avuto i miei problemi di disciplina, devo ammetterlo, che facevano diventar matti i miei genitori :) Ho cambiato 4 istituti superiori in 5 anni e poi ho conseguito la mia laurea breve all’Università di Harvard, ho frequentato la London School of Economics per un anno, dove ho conseguito un master, e poi sono andato all’Università della California Hastings College of Law di San Francisco, dove ho conseguito la mia laurea in legge.

CT: Allora Tom, come sei passato dall’essere un liceale ribelle a un appassionato avvocato?

TM: Beh, penso sia stato un processo graduale. Mio padre aveva frequentato un corso di legge al West Point, lui aveva sempre desiderato fare legge e mi ha sempre detto: se non sei sicuro di cosa vuoi fare, considera legge perché ti apre molte opportunità e aveva assolutamente ragione. Ho conseguito la mia laurea, ma non sapevo come sarebbe andata avanti la mia carriera. Ho cominciato con un grosso studio a Washington che si occupava di cause civili, dove ho lavorato per circa un anno. Poi sono stato procuratore nel sud della California, dove ero un pesce fuor d’acqua, semplicemente non faceva per me. Quindi, ho ottenuto un lavoro piuttosto unico come assistente del presidente di una succursale di una società petrolifera, per la quale viaggiavo in giro per il paese per intervistare avvocati e supervisionare il loro lavoro. Poi sono andato in un piccolo studio legale che si occupava di cause civili e pian piano ho realizzato che difendere i diritti civili in un tribunale era la mia vocazione. Mi interessava tutto per un po’, ma la vera domanda era: cosa mi appassiona? Perché ho sempre creduto che la passione per quello che fai è il modo migliore che si possa immaginare per vivere la tua vita. E alla fine l’ho trovata nell’essere un avvocato di processi, e in particolare di processi penali, ho provato anche cause civili, ho cominciato a dare il mio tempo per organizzazioni no profit che aiutavano i poveri a Los Angeles. Una cosa ha portato all’altra, mio padre aveva ragione, una laurea in legge ti dà semplicemente una moltitudine di opportunità per provare cose diverse. Io in realtà avevo lasciato la mia scuola di legge dopo un anno perché pensavo di voler diventare un giornalista e ho fatto delle interviste per la CBS e un certo numero di giornali e avevo questa idea di diventare un corrispondente estero, volevo vedere io stesso queste situazioni pazzesche in giro per il mondo, dico questo perché sono quel tipo di persona che resta scettica sentendo altri raccontare cosa succede nel mondo, ho sempre pensato di dover vedere io le cose in prima persona. E penso che i bravi avvocati penalisti siano degli scettici, semplicemente non accettano ciecamente quello che dicono i media, quello che viene dato come ritratto delle persone, loro devono entrarci dentro nelle situazioni e vederle coi loro occhi. All’inizio della mia carriera, come ho detto ho cominciato con un grosso studio legale. Le grandi organizzazioni hanno le loro politiche, hanno il loro modo di sopravvivere che deve essere appreso e mi sono semplicemente reso conto che non mi piaceva apprendere quelle cose, non mi piacevano le politiche, non mi piaceva imparare ad arruffianarmi le persone giuste che poi ti rendono il favore e a sopravvivere in questo sistema organizzativo, sono sempre stato un solitario, un outsider, e ho dovuto trovare il modo di incorporare questo nella mia vita professionale. Ho cominciato a donare molto del mio tempo per aiutare i poveri gratuitamente, donavo il mio tempo nelle associazioni giuridiche gratuite, principalmente nelle comunità dei neri a Los Angeles, sono sempre stato contro la pena di morte per molte diverse ragioni, avevo letto molte storie orribili su come veniva eseguita la pena capitale nel profondo sud degli Stati Uniti e a un certo punto ho detto a me stesso: voglio fare questa esperienza, voglio vedere in prima persona se queste cose sono reali. E ho voluto provare ad assumere quei casi, con gli altri che mi dicevano: sei pazzo, tu non vieni da lì, lì c’è una cultura diversa, non sarai ricevuto bene, tu hai una vita nelle tue mani e assicurati solo che funzioni quello che noi chiamiamo habeas petition, che è una delle possibilità post-condanna per un condannato a morte. E io ho risposto: no, voglio provare ad assumere quei casi a processo. E ricevetti una telefonata per un caso molto controverso in Alabama, dove un nero era accusato dell’omicidio di una bella ragazza bianca e gli avvocati dell’imputato mi chiesero se ero interessato ad unirmi a loro e io dissi di sì e li raggiunsi e diventammo amici. E ormai svolgo lavoro probono per casi di pena capitale in Alabama da 18 anni. Parlando degli inizi della mia carriera, ricordo uno dei miei primi casi pro bono per un anziano afroamericano con più di 80 anni che aveva perso la moglie e l’unica cosa che gli era rimasta era una casetta a sud di Los Angeles, una zona per lo più abitata da neri. E un tizio era venuto negli Stati Uniti da un altro paese e aveva istruito un gruppo di vendita composto da donne nere per prendere come bersaglio uomini come lui, gli avevano bussato alla porta e lo avevano convinto che la sua casa aveva necessità di essere ripavimentata. E presero la moquette più economica sul mercato e gliela posarono nella sua casa, facendolo firmare un sacco di documenti che lui non capiva, lui non sapeva leggere. E quando lui saltò di pagare una rata, avviarono la procedura di ipoteca sulla sua casa, cercando di rubargli l’unica cosa che questa persona aveva. Io sentii di questo caso e decisi di unirmi al team di civilisti che lo avrebbero difeso per riprendersi la sua casa e ci riuscimmo. Venne fuori che questa era una gigantesca truffa che andava avanti in questo quartiere povero, dove le persone firmavano documenti inconsapevolmente, inclusi Trust per le loro case, e la società era di proprietà delle stesse persone che producevano la moquette e la posavano. Era una grande frode. E da lì cominciai a essere coinvolto in queste associazioni giuridiche per prestare consulenza alle persone, qualsiasi fosse il loro problema. E scoprii che ne ricavavo un’enorme soddisfazione, come avvocato e come essere umano, quando facevo questo. Ed è diventata una parte fondamentale della mia vita. Quando ero sulla trentina, passai per un periodo difficile, incluso un divorzio e dei problemi finanziari e competevo con questa idea che il materialismo fosse la risposta per riempire la propria vita e mi sono reso conto che semplicemente non era così, io dovevo fare la differenza e dovevo trovare un flusso di passaggio per la compassione verso i meno fortunati, per questa passione di giustizia, per il desiderio che tutte le persone siano trattate in modo uguale e non svalorizzate a causa della loro razza o del loro status sociale o economico. E una cosa ha portato all’altra. Una domenica ero a un incontro nella prima associazione giuridica gratuita afroamericana per donare il mio tempo e un altro avvocato che era lì presente venne fuori che era un legale nel campo dell’intrattenimento che stava difendendo l’attore Robert Blake, che all’epoca era molto famoso negli USA e lui era stato accusato dell’omicidio di sua moglie. Lui mi chiese se volessi incontrare Blake e io risposi certamente sì e ci incontrammo e divenni l’avvocato a capo della sua difesa e riuscii a tirarlo fuori di prigione, in un caso in cui questo non era mai successo, e dopo 3 settimane di udienze preliminari trasmesse in tv riuscii a farlo uscire di galera e a far svoltare positivamente il suo caso. Le persone del giro di Michael Jackson, e suo fratello Randy, che era un mio amico, avevano seguito con attenzione quel caso e quando Michael si ritrovò nei guai, cominciarono a telefonarmi. Una cosa ha portato all’altra, a dove mi trovo oggi.

CT: Il caso di Michael Jackson al quale tu fosti invitato ovviamente non fu il primo che cominciò nel 1993, il caso Chandler che si concluse con un accordo. Quanto conoscevi quel caso prima di essere coinvolto nella vita di Michael Jackson? E cosa ne pensi del modo in cui fu gestito?

TM: Beh, lo conoscevo perché aveva ricevuto una grande eco mediatica, soprattutto a Los Angeles. E il legale degli accusatori in quel caso, Larry Feldman, che rappresentava i Chandler, le persone che stavano facendo causa a Michael Jackson, era un maestro nell’usare i media per mettere gli avvocati di Michael Jackson sotto pressione. Ricordo che stavo guidando per la città e accendendo la radio mi capitò di sentire le sue dichiarazioni, lui diceva “noi stiamo solo cercando la verità, non abbiamo paura della verità che smaschereremo in aula” e stava facendo questo in un modo davvero ben ragionato per pressare i legali di Michael Jackson a chiudere il caso con un accordo. All’epoca io non conoscevo Michael, non ero coinvolto in quel caso, ma poi è finita che controinterrogai Larry Feldman nel suo processo penale del 2005. Ma quel caso del 1993 ricevette una pubblicità enorme, fu un evento sconvolgente per tutto il mondo dell’intrattenimento avere Michael Jackson accusato di essere un molestatore di bambini. Fu scioccante a Los Angeles così come in tutto il mondo, Michael Jackson era considerato il più grande, come coreografo, cantante, ballerino. Un genio, un innovatore, un rivoluzionario, così famoso e amato, e avere accuse di quel tipo fu a dir poco scioccante. Feldman era sempre per radio o in tv a pressare la difesa e purtroppo ci riuscì. Avvocati come Howard Weitzman, che rappresentavano Michael Jackson, finirono per chiudere il caso con un accordo di 20 milioni di dollari, quella era la cifra riportata, e io penso che questo abbia cambiato la vita di Michael per sempre. Penso che lui non sia mai riuscito a superare le conseguenze negative di quell’accordo. Infatti, quando accettai la sua difesa nel processo penale, era il mio primo caso nella Contea di Santa Barbara, perciò assunsi una consulente della giuria per fare delle ricerche sulla comunità, testando le loro attitudini per metterle insieme in un rapporto che mi desse l’idea di cosa la gente pensasse e provasse nei confronti di questo caso. E lei lo fece, raccolse un gran numero di dati per avere un’idea sul profilo di un potenziale giurato pro-difesa o pro-accusa e nel corso di quella ricerca lei mi fece presente che la cosa che più disturbava tutti era quell’accordo del 1993, l’idea generale è che se sei innocente, non paghi tutti quei soldi. E quello finì per diventare uno degli ostacoli principali da superare per me per ottenere una giuria equa che guardasse alle prove del caso. Sembrava che la gente avesse questo pregiudizio e penso che lui non sia mai riuscito a superarlo, penso che la sua reputazione non sia mai riuscita ad andare davvero oltre quell’accordo, sebbene io pensassi che era un non senso assoluto. Si ricordi che in California, per come sono scritte le leggi, l’accusa può portare in un caso comportamenti simili anche se non sono arrivati ad essere capi d’imputazione, il termine legale è propensity evidence. Perciò, loro cercarono di provare che Jordan Chandler era stato molestato e altri 4 ragazzini erano stati molestati allo stesso modo del principale accusatore, Gavin Arvizo. Quindi, noi dovemmo difendere quel caso così come un gruppo di altri casi tutto in una volta sola. E fortunatamente riuscimmo a convincere la giuria che quest’uomo non era un molestatore, che quelle accuse erano fasulle e tutte parte di uno stesso modello con cui le persone cercavano di estorcergli denaro. Tornando a quell’accordo, ricordo gli avvocati nei notiziari, ricordo il loro modo di fare pressione sulla difesa affinché pagassero soldi, e purtroppo è quello che la difesa fece. Weitzman firmò quell’accordo, che è disponibile su internet, lo annunciò nella conferenza stampa, che anch’essa presumo possa essere guardata su internet ed è inclusa nel documentario di David Gest, Michael Jackson: A Life of an Icon, che a me è piaciuto molto, è un documentario di circa 2 ore e mezza che penso sia stato fatto molto bene, ero alla premiere a Londra. Quell’accordo lo ha semplicemente perseguitato per tutta la vita. Quando assunsi il suo caso penale, una delle prime cose che feci fu una conferenza stampa per annunciare che Michael Jackson si era pentito di aver seguito i consigli che gli erano stati dati, si era pentito di quell’accordo e dell’accordo con Jason Francia, del quale io non sapevo nulla finché non assunsi il caso, quello era stato un secondo accordo che lo avevano portato a fare. Feci una dichiarazione nel tentativo di rimediare in qualche modo ai danni fatti sancendo l’idea: chi fa questi accordi e paga questi soldi se è innocente? Dovetti chiedere al giudice di darmi il permesso di fare quell’annuncio, che lui mi concesse, ed era la cosa migliore che potessi fare in merito a quegli accordi che sarebbero finiti nel processo penale.

Q: Tom, lei stava seguendo gli inizi del suo procedimento, e cosa pensava della sua gestione prima che lo assumesse lei?

TM: Beh, quando ci fu l’irruzione di Neverland nel novembre del 2003 ad opera di circa 70 poliziotti della contea, stavo guidando lungo la costa della California, avevo preso 9/10 giorni di vacanza. Li avevo presi per l’intenso impegno della preparazione della difesa di Blake nel suo processo per omicidio, programmato per febbraio del 2004. E in effetti avevo staccato il mio cellulare per circa una settimana. Lo accesi e, tempo 10 secondi, stava squillando all’impazzata, erano persone associate a Michael Jackson che continuavano a telefonarmi per chiedermi di prendere un aereo per Las Vegas per incontrarlo perché lui voleva che fossi io a difenderlo. Io risposi che ero legato in quel momento perché dovevo preparare la difesa di Blake, ma loro continuavano a chiamarmi dicendomi che nessuno diceva di no a Michael Jackson, nessuno rifiutava di lavorare per lui, che dovevo andare perché a lui non piacevano i suoi attuali avvocati, non li aveva mai voluti e voleva parlare con me. Io dissi di no. Persino Blake a un certo punto venne a sapere che la cerchia di Michael Jackson continuava a telefonarmi e mi chiamò, gli dissi che ero il suo avvocato e non avrei preso un altro caso. Perciò, quello fu il mio primo contatto con il mondo che circondava il caso penale di Michael Jackson. A febbraio cominciammo la selezione deiu giurati per il processo a Blake quando, nel mezzo del procedimento, io e Blake avemmo una grande divergenza d’opinione su qualcosa che io consideravo di primaria importanza. Avemmo un’udienza privata con il giudice e io chiesi che mi fosse permesso di essere sollevato dal caso, una cosa davvero inusuale a quel punto del procedimento, le probabilità che mi dicesse di no erano altissime, invece lei mi disse di sì. Perciò mi ritirai e, non so, forse passò qualche giorno e Randy Jackson mi chiamò dicendomi che volevano me, che a loro non piacevano gli attuali avvocati, che sembrava io fossi ormai libero da impegni e se volevo incontrare Michael. E io risposi di sì. Perciò, volai in segreto verso la Florida e incontrai Michael e Randy, e una cosa portò all’altra. Tu mi hai chiesto qual era la mia idea su come stavano gestendo la faccenda osservandola dall’esterno: pensavo che la stessero gestendo malissimo, ero in disaccordo su tutto quello che la sua difesa aveva fatto fino a quel momento. Per esempio, ci fu una conferenza stampa dell’allora avvocato di Michael, Geragos, che aveva usato un linguaggio minaccioso, delle parole aggressive che mi fecero dire a me stesso che quello era il modo migliore per avere i giurati contro di lui ancor prima che mettesse piede in tribunale. Faceva apparire Michael come arrogante e narcisista. Avevo visto anche la Nation Of Islam intorno a Michael Jackson e pensavo che non lo avrebbe aiutato in alcun modo in quella comunità abitata prevalentemente da bianchi e ispanici. Lo separava dalla comunità nella quale lui viveva e dalla quale sarebbero stati selezionati i giurati. Vidi un incontro trasmesso in tv organizzato al Beverly Hills Hotel, che è uno degli alberghi più costosi e prestigiosi di Los Angeles, era riportato come un incontro tra i consiglieri d’affari di Michael Jackson e vidi Geragos e altri e la mia impressione fu ancora una volta che era un modo di presentare Michael come arrogante prima ancora che iniziasse il processo. Sembrava fosse tutto predisposto per promuovere gli avvocati e nessun altro. E semplicemente sentivo che quello non era il modo giusto di gestire la situazione, che tu devi mostrare rispetto per la comunità, essere umile, e quando poi conobbi Michael, mi resi conto che lui era esattamente così, lui era disagio con tutto questo, semplicemente non sapeva a chi rivolgersi. Perciò, la mia impressione sulla sua difesa era davvero negativa e lo espressi molto chiaramente a Randy Jackson e a Michael e quando assunsi il caso non volli il coinvolgimento della Nation Of Islam. Non volevo che suo padre e suo fratello Jermaine andassero in radio o in tv a chiamarlo linciaggio, dissi loro: che sia così o no, non sta aiutando Michael nella comunità che deciderà del suo destino. Non volevo queste parole arroganti, perciò feci del mio meglio per abbassare i toni, stare lontano dai media, concentrarmi sul processo, focalizzarmi sulla comunità, concentrarmi sull’umanità di Michael Jackson, sulla sua umiltà, il suo desiderio di unire le persone piuttosto che dividerle.

Jamon: Tom, il giudice aggiunse ulteriori capi d’accusa durante il processo, lei pensa fu una decisione equa o che il giudice propendesse per i procuratori?

TM: Penso lui fosse pro-accusa nel senso che credo lui si fosse reso conto che loro avessero dei problemi nel loro caso, problemi mai anticipati, e penso lui si rendesse conto che potevano affondare. E credo che lui stesse cercando di salvare questa situazione. In California c’è questa legge per cui il giudice deve considerare capi d’imputazione minori inclusi, ma in questo caso la mia sensazione, specialmente per il fatto che l’accusa non li aveva mai chiesti prima, è che lui stesse cercando di concedere loro una via d’uscita. E per il modo in cui i media stavano trattando Michael Jackson, posso dirvi che se lui fosse stato condannato anche per un solo capo d’accusa minore come dare alcol a un minorenne, i media del mondo avrebbero gridato in coro COLPEVOLE, anche se si trattava di un’imputazione minore che non avrebbe significato del tempo da scontare in galera.

CT: Perché pensi che il giudice stesse concedendo loro un modo per uscirne, qual era la sua motivazione?

TM: Era pro-accusa, lui era molto amico di Sneddon, veniva da quella contea e conosceva molte persone del posto. E anche se stava provando ad essere equo per certi aspetti, avevo anche l’impressione che stesse cercando di dare loro una scappatoia. L’esempio più lampante di questo ci fu quando noi come difesa concludemmo il nostro caso e l’accusa aveva la possibilità di procedere ribattendo ad esso con quello che viene chiamato rebuttal case. Uno dei procuratori, Zonen, venne in aula dicendo: “Noi pensiamo che Mesereau abbia sollevato dubbi sull’interrogatorio del minore con la polizia, per questo vorremmo mostrarlo ai giurati”. Ora, quel tipo di materiale si chiama hearsay evidence e non è ammissibile perché tu non puoi controinterrogare su qualsiasi cosa chiunque stia dicendo e di norma non entra mai in un processo. Ma il giudice, con mio stupore, disse che era d’accordo e loro potevano farla vedere ai giurati. Quando ciò accadde, ricordo che i media dicevano che era stata una disfatta terribile per Mesereau, questo è il peggiore dei suoi incubi, perderanno il caso a causa di questo. Io non lo pensavo affatto, non volevo che fosse mostrato, ma quando successe si è rafforzata la mia idea che i validi avvocati penalisti non rifuggono da queste situazioni, ma le affrontano di petto. Perciò, nella mia arringa finale, implorai i giurati addirittura di rivederlo quel video, di rivederlo con attenzione, di fare caso alle risposte date dal ragazzino alle domande della polizia. E raccontai loro le problematiche di quelle risposte, sia in quello che aveva detto sia in quello che non aveva detto, dimostrando che questo ragazzino aveva problemi di credibilità. E in seguito, il portavoce della giuria mi disse che avevano dato ascolto alla mia richiesta e lo avevano riguardato, ripensando a quello che io avevo detto loro, e mi disse che vi riscontrarono quei problemi. Ma in ogni caso, questo è un esempio di come il giudice stesse cercando di dare loro una via d’uscita secondo me, perché lui, meglio di chiunque altro, poteva vedere le lacune del loro caso.

Jamon: Com’era lo stato mentale di Michael durante il processo, aveva alti e bassi?

TM: Una delle sfide più grandi per i penalisti che rappresentano le celebrità, e lui era semplicemente la più grande celebrità del mondo, è non far passare loro per l’atmosfera davvero strana e insolita del sistema giuridico penale. Perciò, uno dei problemi fu evitare che Michael fosse influenzato da quell’orribile macchina mediatica, dal loro sensazionalismo, perché lui sarebbe andato a casa, alcuni suoi familiari sarebbero stati lì e insieme avrebbero guardato la tv che fondamentalmente riportava che la difesa sarebbe stata sconfitta, che l’accusa aveva un caso forte e dei testimoni potenti, che le testimonianze erano disturbanti. I media volevano che lui soccombesse, volevano vedere questa orribile caduta dopo la sua incredibile ascesa, questa era la storia su cui essi volevano fare profitto. Penso sperassero che questa cosa si protraesse per mesi e mesi, penso che avessero pronte le storie sulla sua prigionia, se stava mangiando, se stava dormendo, com’era senza trucco, com’era senza il suo solito abbigliamento. C’erano voci sul fatto che si sarebbe suicidato e loro speravano di guadagnare su storie come questa.

CT: Tom, cosa osservasti del suo deterioramento durante il processo?

TM: Beh, immaginate il Michael Jackson che voi conoscete: straordinariamente sensibile, straordinariamente intuitivo, molto creativo, molto umano, molto compassionevole. Un genio che vedeva cose che noi non vediamo, che sentiva cose che noi non riusciamo a sentire, che arrivava a concezioni creative che noi non riusciamo nemmeno ad immaginare da dove possano venire. Se metti qualcuno con una tale sensibilità in questo incubo di un processo penale con l’accusa di aver dato a un bambino malato di cancro dell’alcol per prepararlo all’abuso sessuale, con accuse del genere stai dicendo che è un mostro e lo fai nei confronti di una persona così eccezionalmente sensibile e vulnerabile come lui, e lo metti 5 giorni a settimana in un’aula di tribunale, per non parlare di ciò che c’era intorno, con i media a coprire la notizia in modo orribile. Qualsiasi essere umano, anche con una sensibilità minore della sua, avrebbe estrema difficoltà a fare i conti con questo. Io presumo che chi è costretto a passare per una situazione simile vada dal suo medico per farsi prescrivere ansiolitici, antidepressivi, farmaci per riuscire a dormire. Con la sua sensibilità, te lo aspetti ancora di più, lui con me era sempre lucido, si esprimeva bene, però sapevo che stava perdendo peso e, come sappiamo tutti, il giorno del verdetto aveva un aspetto terribile, aveva le guance scavate, non dormiva da giorni, era veramente emaciato e veramente paralizzato dalla paura, è così che lo ricordo quando ci penso. Io ero speranzoso, ero ottimista, pensavo che avremmo vinto, ma se non fosse stato così, io sarei tornato nel mio ufficio, mentre lui sarebbe stato spedito dritto in prigione, sarebbe stato messo in isolamento, avrebbe potuto subire abusi e nessuno lo avrebbe mai saputo. Perciò, deteriorò, sì, nel corso del processo, è una cosa che ti aspetteresti da chiunque fosse stato al suo posto, ma per la sua straordinaria sensibilità, per i suoi modi così gentili e nobili, penso che per lui sia stata un’afflizione stare seduto lì a sentirsi chiamare mostro, qualcosa che lui nemmeno riusciva a immaginare.

CT: Tom, puoi raccontarci il giorno del verdetto?

TM: Beh, quella mattina mi sono svegliato con una profondissima sensazione intuitiva che qualcosa di grande stesse per accadere quel giorno, che avremmo avuto un verdetto. Sono stato sempre fiducioso ma ansioso, perché non puoi mai sapere cosa succederà. Era tarda mattinata quando venni a sapere che era stato raggiunto un verdetto, potete immaginare quei momenti prima di arrivare in aula. In tv i media erano dappertutto a fare speculazioni, l’atmosfera nell’aria è difficile da spiegare. Chiamai Michael e gli dissi che avevamo un verdetto e chiamai la sicurezza per dire loro che dovevano portarlo in tribunale entro quell’ora. E poi i verdetti furono letti, abbracciai Michael, abbracciai il mio team e i fan fuori impazzirono. Saltai la conferenza stampa, sentii che era molto più importante andare a Neverland da Michael e la sua famiglia. Michael era semplicemente esausto, aveva difficoltà persino a camminare. I suoi bambini mi abbracciarono, i suoi familiari mi abbracciarono, e lui era così sollevato, fisicamente ed emotivamente malconcio, ma comunque sollevato. L’atmosfera a Neverland non era di celebrazione, ma semplicemente: “Oh mio Dio, è finita”, c’era un sentimento di gratitudine, gratitudine verso Dio, verso le persone che gli erano state vicino, verso il suo team di difesa, fu un giorno speciale che non dimenticherò mai.

Jamon: Dopo il verdetto, Michael ti fece capire che avrebbe lasciato gli Stati Uniti così presto per andare in Medio Oriente?

TM: No, il punto è che io rimasi 6 mesi in quella Contea, fondamentalmente interruppi la mia attività per vivere lì. Mi era subito sembrato che le forze dell’ordine locali si sentissero in cima al mondo per questo caso, pensando che non c’era possibilità che perdessero. Ricordo che ci fu una seconda irruzione a Neverland, un’irruzione a sorpresa. A un certo punto ricevetti la telefonata di Randy Jackson per avvertirmi che stavano facendo una seconda irruzione nel ranch, perciò Randy mi disse di volare lì con un elicottero. E quando arrivai, vidi sulle facce di quei poliziotti quasi un compiacimento demoniaco per quell’irruzione, come se volessero dire: “abbiamo preso il grande Michael Jackson, può essere anche ricco e famoso, ma siamo noi ad avere il controllo su di lui”. Ed ebbi la netta sensazione che la crudeltà e l’abuso ai quali poteva essere soggetto se fosse stato condannato e incarcerato sarebbero stati colossali. Era paragonabile a un caso di pena capitale. Fui io a dirgli di lasciare Neverland e non tornarci più. E lui sembrava scioccato alle mie parole. E poi cominciai a ricevere telefonate, ne ricordo una da parte di Kerry, una telefonata di Grace Rwamba, e loro mi chiedevano: “Hai informazioni precise che qualcuno stia pianificando qualcosa?” E io risposi: “No, non ne ho bisogno. Queste persone sono state umiliate davanti agli occhi del mondo, messe in imbarazzo nell’intero pianeta, non lo dimenticheranno!” Loro furono così feriti dalla sconfitta di un caso che erano convinti di non poter perdere che io pensavo davvero, sulla base di quello che avevo osservato di loro, che sarebbero stati assolutamente determinati a trovare un altro caso. Lo avrebbero arrestato di nuovo, rimesso sotto processo, e dissi: lui non può vivere in pace lì, hanno rovinato questo posto. Non sapevo dove sarebbe andato, non sapevo che sarebbe andato in Medio Oriente finché non ha iniziato a chiamare il nostro ufficio da lì, ma lo sollecitai con forza ad andare via e non tornare più. Gli dissi che molte cose nella vita hanno un tempo e un posto, che Neverland aveva fatto il suo corso e lui non sarebbe stato al sicuro lì, non poteva passare di nuovo per tutto questo. E non so se i nostri ascoltatori lo sanno, ma nel libro di Sullivan lui riporta che Sneddon stava preparando un altro caso contro di lui che aveva a che fare con farmaci da prescrizione. E lui decise di abbandonarlo solo quando fu chiaro che Michael Jackson se ne era andato.

CT: Tom, anche Sneddon è morto da poco. Vorrei che condividessi con noi i tuoi pensieri su di lui e sulla sua morte.

TM: Beh, su un piano professionale, Sneddon è stato sempre professionale con me. Sembrava portarmi rispetto, se diceva che il giorno seguente avrebbe chiamato quel testimone, lo avrebbe fatto. Se diceva di non avere un documento che io pensavo avesse, probabilmente era vero. Dal punto di vista professionale, in realtà mi fidavo più di lui che di Zonen o Auchilnoss. Mi sembrava che loro fossero più propensi a fare certi giochetti rispetto a lui. D’altra parte, questa sua smania di prendere Michael Jackson era irrazionale e crudele fino all’assurdità e non posso dimenticarla perché ricordo che quando mi chiese chi sarebbero stati i miei primi testimoni e io feci i nomi di Robson, Culkin e Barnes, lui apparve come fulminato, impallidì, sembrava scioccato. Sapevo, sospettavo che ci sarebbero stati sforzi per intimidirli, in questo processo secondo me è stato fatto continuamente, se annunciavamo un testimone, poche ore dopo i poliziotti bussavano alla loro porta. Ricordo che c’era un insegnante che mi chiamò per farmi sapere che Gavin Arvizo gli aveva detto che lui non era stato molestato e noi annotammo il suo nome e indirizzo e subito dopo i poliziotti provarono a intimidire tutti, loro provarono a intimidire persino il nostro team di difesa, perché il giudice emise un gag order e ci furono delle fughe di notizie, delle informazioni favorevoli a Michael Jackson, e loro annunciarono che stavano indagando e che avrebbero incriminato chiunque c’era dietro. Perciò, quest’uomo stava giocando duro, assunse una società di pubbliche relazioni, e quale sarebbe la ragione per cui un procuratore assume una società del genere per un caso penale? Mandò 70 poliziotti a casa sua, non li ha mai mandati da nessun’altra parte 70 poliziotti, è un numero che non si ha nemmeno per i serial killer. Perciò, la sua ossessione di prendere Michael Jackson, cosa che comunque lui ha sempre negato, non posso dimenticarla. Come ho detto, professionalmente parlando lui mi ha sempre trattato bene. Sembra fosse un marito e un padre meraviglioso, era ovviamente molto amato dai suoi colleghi, ma io penso che la sua reputazione sarà macchiata per sempre da questa sua smania irrazionale e illogica di buttare giù Michael Jackson.

Jamon: Signor Mesereau, quando ha parlato con Michael l’ultima volta prima che lui morisse?

TM: E’ stato quando era a Londra, dopo aver lasciato il Medio Oriente. Chiamò e avemmo una conversazione. Credo sia stata quella l’ultima volta. Non ero molto coinvolto nei suoi affari dopo un certo punto, noi avemmo uno screzio con Raymone Bain che era la sua manager. Come sapete, ebbi un problema con lei verso la fine del processo, lei lasciò la città prima del verdetto e io c’entro qualcosa con questo, così come c’entra Randy Jackson. Sapete, alle fine lei lavorava per Michael, non per me, ma io ho molto a che fare con quella circostanza, perché non mi stavano bene delle cose che aveva fatto. Ma poi, quando Michael andò in Medio Oriente, lei ricomparve e a quel punto non le importava niente di me. Per 9 mesi successivi al processo, quando Michael si era trasferito in Medio Oriente, noi lavorammo per lui, per questioni civili, questioni legate ai suoi affari, e poi diventò chiaro che Raymone Bain era a capo della situazione e che noi non saremmo stati pagati per il lavoro che avevamo fatto, perciò decidemmo di non farlo più.

Jamon: Tom, può dirci dov’era e cosa stava facendo quando ha sentito la notizia che Michael era morto?

TM: Ero in una corte federale di Los Angeles per un caso penale. L’amica di Randy Jackson, Tanya Zilkie, mi stava aiutando con delle documentazioni fatte al computer da mostrare alla giuria. Entrai in aula e lei mi disse: ‘Michael è morto’. E io non ci credevo veramente. C’erano sempre state così tante orribili dicerie sul suo conto, che lo negai a me stesso. Poi, scesi con l’ascensore e stavo uscendo dal tribunale, quando due poliziotti mi si avvicinarono e mi dissero: “Lo sa che Michael Jackson è morto?” e io dissi: “Dite sul serio?” e loro risposero: “Sì”. Perciò, fuori dal tribunale chiamai il mio ufficio e la segreteria telefonica era stracolma di messaggi da parte dei media del mondo che volevano la mia reazione alla notizia. E lì realizzai: “Oh mio Dio, è morto davvero”. Ed ero semplicemente scioccato, come in trance, e quando sei in quello stato non sai cosa pensare. Mi rimisi a pensare alla bella persona che era, a quanto fosse stato frainteso, a quanto fosse stata difficile e triste la sua vita. E ripensai a che meraviglioso sorriso avesse e al meraviglioso obiettivo che aveva: rendere il mondo un posto migliore per tutti noi, e in particolare per i bambini. E mi pervase un enorme senso di tristezza, richiamai solo pochi media.

Jamon: Tom, una delle controversie più grandi nel mondo di Michael Jackson al momento è la legittimità degli esecutori della sua Estate. Prima della sua morte, Michael aveva Peter Lopez come avvocato che si occupava dei suoi affari e non sappiamo se Michael possa aver firmato un testamento con Peter, non siamo sicuri di questo. L’ultimo testamento che è stato presentato per l’amministrazione della sua Estate viene da John Branca, che a quanto pare Michael non apprezzava, secondo quanto riferito da sua madre e da diverse altre fonti. Vorrei sapere la tua opinione su questo.

TM: Beh, anzitutto io non sono mai stato coinvolto nei suoi affari finanziari, a parte ciò che avevo necessità di sapere per difenderlo nel processo penale. Infatti, questo mi ricorda che a un certo punto, prima del processo, gli dissi: ‘Michael, voglio che tu sappia una cosa, non sono interessato ad essere coinvolto nei tuoi affari finanziari, non sono interessato ad essere coinvolto nel mondo dell’intrattenimento, non sono interessato ad essere coinvolto nel mondo della musica. A me interessa solo vincere questo caso, è l’unica cosa di cui mi importi’. E lui mi guardò sbalordito, come se probabilmente io fossi stato il primo avvocato ad avergli mai detto cose del genere. Non ero nemmeno sicuro che lui mi credesse perché la sua vita era caratterizzata da avvocati che cercavano sempre di prendersi grosse fette di questa o di quell’altra torta, di incassare soldi ora su questo ora su quest’altro. Ma io gli dissi: sono un penalista, è questo ciò che sono, non ne so niente di musica, scherzando con Randy una volta gli dissi: ‘Non sono capace di cantare nemmeno Buon Compleanno’ e loro cominciarono a ridere. Perciò, non mi sono mai intromesso nella sua Estate, nel suo testamento, nelle sue faccende finanziarie. Non erano affari miei. Un mio amico, un avvocato che si chiama Dennis Hawk, di Los Angeles, mi ha detto che lui era coinvolto nel tentativo di fare un piano di Estate per Michael nel periodo in cui è morto, e Dennis è quello a cui potrebbero indirizzate queste questioni se qualcuno vuole parlare con lui e lui vuole discuterne. Credo che abbia fatto alcuni commenti per il libro di Sullivan, ma voi dovete capire che io non ero coinvolto in quel processo. Perciò, non mi sono mai intromesso in queste domande sulla legittimità del testamento a causa di questi problemi con il testamento: i nomi scritti male, il fatto che a quanto pare lui era a New York quando sul documento c’è scritto firmato a Los Angeles, e se questo solleva i dubbi fino a poter parlare di frode o di qualche tipo di illecito. Davvero non lo so questo, non sono specializzato in probate e nemmeno l’ho mai voluto. Io ho sempre detto che, che ti piaccia John Branca oppure no, non conosco nessuno posizionato meglio di lui per gestire un’Estate sulla base della sua esperienza, dei suoi successi con Michael e con altri cantanti, della sua storia con Michael Jackson. A me sembra che la sua storia sia sempre stata di altri e bassi, però, da un punto di vista prettamente di esperienza, non conosco nessuno posizionato meglio di lui per gestire questo particolare business. Io sono stato piuttosto critico con il suo avvocato, Howard Weitzman, per la situazione delle accuse di Robson perché lui è l’avvocato che ha firmato l’accordo con Jordan Chandler. E ho detto - finché il giudice non ha respinto il caso l’altro giorno  perché ha detto che è stato presentato troppo tardi, caso che da quanto ho capito sarà portato in appello - ho sempre detto: che tipo di messaggio si manda ai legali di Robson e Safechuck avendo Weitzman come avvocato a capo della difesa quando si sa che ha chiuso un accordo nel 1993! È un messaggio piuttosto terribile. Ma in ogni caso, per quel che riguarda il business dell’Estate, non sono coinvolto in esso, non è un business che mi sia mai capitato di gestire, e non ho mai cercato di intromettermi in null’altro che non sia la mia specializzazione, che è quella di difendere le persone nei processi penali. Perciò, questo è tutto ciò che posso dirvi. Sapete, è ovvio che l’Estate sia molto profittevole, sembra che si siano curati di molti debiti, molti spettacoli prodotti da loro hanno avuto molto successo, e ricordate: il loro lavoro è gestire un business, puro e semplice. Loro sono persone d’affari. Niente di più, niente di meno, per quanto ne sappia. Non so se ho mai incontrato Peter Lopez, penso una volta, ma non ero coinvolto con lui, non so cosa gli sia successo, ho sentito speculazioni nel merito, ma davvero non so cosa credere. Perciò, io voglio parlare soltanto delle cose nelle quali sono stato coinvolto.

CT: Tom, tu hai rilasciato dei commenti sul processo a Conrad Murray e sul processo AEG. Alla fine, quali sono secondo te le responsabilità nella morte di Michael?

TM: Beh, io penso che Conrad Murray sia una disgrazia. Una disgrazia assoluta per la professione medica e per l’umanità. Più venivano fuori informazioni sul propofol, e su quale farmaco eccezionale sia quando è usato propriamente, voglio dire, puoi subire un’operazione chirurgica e risvegliarti senza sentirti stordito o disorientato, è descritto dai professionisti competenti in anestesiologia come un farmaco miracoloso. Ma devi usarlo in modo adeguato! È stato dato anche a me nella mia vita, anche se non ne conoscevo il nome finché non è emerso come veniva somministrato a lui e a quanto pare non solo da Conrad Murray, ma da altri che volevano accontentare Michael Jackson e fargli credere che loro potevano risolvere la sua insonnia. E più apprendevo di questo farmaco, più mi inorridiva quello che Murray aveva fatto. E quando ha cominciato ad incolpare Michael Jackson di quello che lui aveva fatto, l’ho trovato disgustoso.

CT: Riguardo al processo AEG, cosa pensi del risultato?

TM: Beh, sono stato io a raccomandare alla famiglia il loro avvocato, Brian Panish, che per me è il miglior professionista in questo ambito, sicuramente a Los Angeles e forse in tutto il paese. Fu Randy a chiedermi cosa ne pensassi di lui e gli dissi che per me era il migliore. Io ero presente quando Katherine incontrò Brian Panish per la prima volta. Eravamo a casa di Janet Jackson, con Jermaine e Randy. E Katherine arrivò e lo conobbe. Penso che lui abbia fatto un lavoro straordinario per questo caso. L’esito mi ha molto sorpreso, soprattutto quando sono venuto a sapere che la giuria aveva stabilito che Murray era un dipendente di AEG. Perché la battaglia principale, da quello che potevo osservare io dall’esterno, era se AEG lo aveva assunto oppure no. E la giuria ha trovato all’unanimità che Murray era un dipendente di AEG, perciò avevo pensato che sarebbe stata riconosciuta qualche responsabilità e sarebbero stati riconosciuti dei danni solamente sulla base di quello. Ma a quanto pare – e a me non era consentito presenziare in aula durante il processo perché ero nella lista dei testimoni della difesa, anche se non sono mai stato chiamato, ma c’era una restrizione per i potenziali testimoni – però ero presente nell’arringa di confutazione di Brian Panish, che pensai fosse stata molto efficace. Sono stato sorpreso. Ma lasciatemi dire questo: secondo recenti statistiche, è emerso che i giurati, a meno che non percepiscano le prove come schiaccianti, sono avari quando si tratta di arricchire le persone. Perciò, la difesa deve aver fatto un buon lavoro sulla rappresentazione di Michael Jackson. Hanno dato la colpa alle sue singolari dipendenze, hanno argomentato che loro non avevano la possibilità di capire cosa stesse facendo con il propofol o cosa stesse facendo Murray, che Murray era sulla scena molto prima che loro ci entrassero, Michael si era addirittura fidato che Murray curasse i suoi figli. E i casi civili sono come delle scommesse, la battaglia è sui soldi o sulle proprietà, nei casi penali la battaglia è sulla libertà e sulla reputazione, la posta in gioco è molto più alta. Ma sono stato sorpreso dal verdetto, credevo che qualcosa sarebbe stato riconosciuto a Katherine e ai ragazzi.

CT: Tom, dopo la morte di Michael, ci fu un’enorme campagna pubblicitaria ovviamente per il film This Is It basata sull’idea che Michael era estremamente positivo, felice e in salute e nel corso dei due processi sono emerse email che hanno dimostrato che c’erano significative preoccupazioni per la sua salute ed email davvero disturbanti, come quella di un promoter di AEG che scriveva di averlo appena schiaffeggiato e avergli urlato contro. Come ti sei sentito, come amico di Michael,  quando tutte queste email sono venute fuori e tu pensi che, sebbene la famiglia Jackson abbia perso quel caso, rendendo pubblico quel materiale abbiano raggiunto comunque l’obiettivo?

TM: Beh, anzitutto, io ho adorato This Is It. Ci sono scene in cui Michael mi sembra veramente magro, in cui le sue condizioni potevano essere non così buone come sono state descritte. E ho avuto questa impressione in un paio di parti del film. Ciò nonostante, l’ho visto molte volte, l’ho adorato, mostra che artista eccezionale fosse e che persona gentile fosse, la rilevanza sociale delle sue canzoni… ho amato il film e potrei rivederlo ancora e ancora, ma sì, ci sono parti in cui ho intuito che lui poteva non stare così bene fisicamente. Perciò, per il film mi complimento con l’Estate, mi complimento con John Branca, penso sia un film favoloso. Per quel che riguarda la seconda parte della tua domanda, quelle email che dimostrano che Michael stava passando momenti difficili e dolorosi, sono strazianti. Strazianti. Avevo sentito storie per cui lui a quanto pare non stava sufficientemente bene per fare le prove, che vomitava, che aveva difficoltà nella preparazione di queste performance, avevo sentito queste storie, ma ad essere sincero con te non ho mai saputo a cosa credere, nel mondo di Michael Jackson tutti affermano di essere degli esperti, tutti dicono di essere il suo migliore amico, tutti sostengono che erano suoi amici intimi, e al 90% si sono rivelate assurdità alla fine. Perciò, sentivo storie del genere da terze persone, perché io non ero coinvolto, ed erano disturbanti, speravo che non fossero vere. Devo dire che quando sentii dei 50 concerti, ebbi un piccolo tuffo al cuore perché suonavano come assolutamente massacranti. Perciò sì, quelle email mi hanno disturbato, sembra che il povero ragazzo stesse attraversando un periodo durissimo, in cui la sua insonnia era estrema, chiaramente non stava ricevendo cure adeguate dal suo dottore, e devo presumere che il suo corpo stesse perdendo peso a causa di tutto quel propofol. Perciò, è un epilogo veramente triste, ma sorrido quando penso a This Is It perché adoro semplicemente il film.

Jamon: Mesereau, Michael disse pubblicamente che per lui quelle accuse erano parte di una grande cospirazione per prendere il controllo sul suo impero e lei fece domande che alludevano a questo interrogando testimoni come Le Grand. Condivide il modo in cui Michael vedeva il processo?

TM: Beh, quando tu sei un bersaglio del calibro di Michael Jackson: enormemente ricco, enormemente di successo, enormemente famoso, enormemente vulnerabile. Mettendo insieme tutto questo, diventi un bersaglio per ogni tipo di imbroglio, ogni tipo di condotta in malafede. Lui è stato un bersaglio simile in tutta la sua vita. E inoltre, le persone non sono governate solo da pensieri, credenze e obiettivi consci, ma anche da quelli inconsci. Ed era chiaro che ci fosse un interesse comune a molte persone, da un punto di vista economico, nel voler vederlo affondare, nel voler vederlo in prigione, nella sua impossibilità a difendersi nella moltitudine di casi civili presentati da sempre contro di lui. So se queste corporazioni comunicassero effettivamente con Sneddon? No, non ho mai visto prove a dimostrazione di questo. Ma è possibile che persone in posizioni diverse facessero i ruffiani gli uni con gli altri avendo molto da guadagnare se questa celebrità fosse colata a picco? È possibile, sì, è possibile. Ma non ho prove dirette di una cospirazione tra corporazioni, Sneddon e i media per portarlo giù, però è possibile.

Jamon: L’esito di quel processo quanto pensa sia stato importante per l’eredità di Michael?

TM: Beh, non mi piace autolodarmi, non sto provando a fare questo, ma penso che sia stato enormemente importante. Voglio dire, se lui fosse stato un molestatore di bambini condannato e spedito in prigione per anni, penso che la sua eredità sarebbe pessima. Probabilmente le persone ancora riconoscerebbero la sua genialità, ma lo considererebbero un mostro sul piano personale perché, lo ripeto, quelle accuse erano mostruose. Perciò, quelle assoluzioni sono state importantissime perché la gente ricordi Michael Jackson come un’anima sensibile, gentile, che ha davvero cercato di guarire il mondo in molti modi.

Jamon: Mesereau, lei ha speso una vita ad aiutare le persone meno fortunate, i bisognosi, e dopo il processo il procuratore Zonen la criticò per aver abbandonato i suoi principi nel caso di Michael Jackson, dicendo che in qualsiasi altra circostanza lei sarebbe stato dalla parte degli Arvizo, una povera famiglia ispanica. Cosa ne pensa di questa affermazione e il processo di Michael Jackson rientrava nel suo sistema di credenze alla base del suo lavoro pro bono per i diritti civili, specialmente dal momento che lei si era trattenuto dal rafforzare ogni accusa che il caso avesse motivazioni razziali?

TM: Zonen stava solo ingoiando i bocconi amari, era semplicemente imbarazzato perché erano stati battuti su 14 capi di accusa, lui non aveva idea di come gestire quell’attenzione dei media, era la prima volta che si trovava ad affrontare una situazione del genere, ne sono sicuro. Erano solo bocconi amari. Non ho mai dato nessuna importanza a quello che diceva. Io sono un penalista, nella mia carriera ho assistito ricchi e poveri, sicuramente molte persone povere, più della maggior parte degli avvocati che conosco, ma non ho rappresentato solo persone povere e l’opportunità di difendere un uomo innocente come Michael Jackson, che aveva davvero poteri molto forti contro che volevano farlo affondare, è stato un grande onore per me. Sono stato pagato bene per questo? Sì. Era contro i miei principi etici? Naturalmente no, anzi, era assolutamente coerente con essi. Voglio dire, Zonen che cosa stava cercando di ottenere? Che Michael Jackson fosse etichettato come un mostro, un delinquente, un molestatore di bambini, una persona priva di qualsiasi coscienza e sensibilità, che dà a un bambino malato di cancro una dose di alcol potenzialmente letale per abusare di lui? Cioè, cosa lui, Zonen, stava cercando di fare? Non c’era assolutamente alcuna incoerenza tra i miei principi e la difesa di Michael Jackson.

CT: Tom, in passato tu hai descritto il caso di Michael Jackson come un caso per i diritti civili, puoi spiegare perché?

TM: Beh, io sentivo che Michael Jackson fosse stato svalorizzato in molti modi e per molti motivi. Era stata attaccata la sua sessualità in un modo brutalmente ingiusto. Non penso che i procuratori abbiano apertamente e consapevolmente perseguito la sua razza, ma in quella parte della California ci sono davvero pochi afroamericani e non dimenticherò mai quel commento che fece Sneddon mentre stava controinterrogando Chris Tucker. Non so se lo ricordate, ma Chris Tucker, per la prima volta durante il processo, decise di usare il suo umorismo, stava commentando delle foto degli Arvizo e lui fece una battuta divertente del tipo: “Mi piace davvero tanto questa foto, posso averne una?” e le persone si misero a ridere sotto i baffi e Sneddon lo guardò e disse: “Puoi averla se fai il bravo boy” (la parola boy viene percepita come razzista in alcuni casi, ndt) e cadde un silenzio assordante nell’aula. La mia speranza era che i media non andassero dietro quel commento perché non volevo che la razza fosse una questione di questo caso perché Michael Jackson ha portato le razze ad unirsi, ha portato tutti ad unirsi, la sua era una famiglia di neri, ha due figli bianchi, il terzo figlio è un ispanico, aveva parlato della sua intenzione di adottare un bambino di ogni continente, voglio dire, lui era una persona che cercava di portare tutti a unirsi per provare a guarire il mondo. Quando Sneddon fece quel commento, piombò il silenzio nell’aula e in seguito, quando parlai con i giurati, mi dissero che a loro non era piaciuto affatto quel commento. Ho prove che lui lo abbia perseguito intenzionalmente perché Michael era nero? No, non ce l’ho. È possibile che loro stessero svalorizzando lui e la sua famiglia perché sono neri? È possibile, sì. Ma l’attacco feroce alla sua sessualità fu davvero disgustoso. Più le cose per loro sembrava si mettessero male, più loro erano disperati nei loro attacchi. Zonen continuava a insinuare nelle domande che lui fosse omosessuale, e poi asessuale, e Sneddon e Zonen ripetevano questo mantra del “dormire con dei ragazzini” nel tentativo di insinuarsi nella coscienza e nell’inconscio dei giurati. E io ritenevo che fosse un caso per i diritti civili per molte ragioni, inclusa quella che loro stavano attaccando un artista eccentrico che davvero aveva il suo modo unico di ballare, vestirsi, osservare il mondo, che era un genio che pochissimi di noi possono sognare di essere, e ritenevo che loro lo stessero svalorizzando per tutti questi motivi. Se si guarda alle accuse mosse contro di lui, al modo in cui è stato attaccato, per me non era stato trattato in modo pari a quello degli altri, se si pensa ai 70 sceriffi mandati a casa sua, a tutti gli esperti che assunsero, compresa una società di pubbliche relazioni, quest’uomo non stava ricevendo un trattamento pari a quello di tutti gli altri, e quindi sì, secondo me era un caso per i diritti civili.

Jamon: Tom, lei pensa che il processo di Michael Jackson sia percepito oggi come 10 anni fa o che la percezione del pubblico sia migliorata nel tempo?

TM: Non so come rispondere a questa domanda perché, dopo il processo, ricordo che fu fatto un sondaggio secondo cui la maggior parte degli americani ritenevano che lui fosse colpevole, ma aveva sconfitto il sistema. Non era una grandissima maggioranza, credo. Penso che Charles sappia le statistiche meglio di me.

CT: Posso dartene alcune adesso, se vuoi.

TM: Ok, certo.

CT: Gallup, nelle ore successive al verdetto: il 54% dei bianchi negli Stati Uniti e il 48% complessivo non era d’accordo con il verdetto. Secondo lo stesso sondaggio, il 62% delle persone riteneva che lo status di celebrità di Michael Jackson era stato determinante per i verdetti. Il 34% disse che il verdetto li rattristava e il 24% disse che il verdetto li indignava. Su Fox News il 37% disse che il verdetto era sbagliato e il 25% disse che le celebrità si comprano la giustizia. E un sondaggio del tabloid People Weekly trovò che l’88% dei suoi lettori non era d’accordo con il verdetto della giuria.

TM: Beh, questo prova che una celebrità può venire assolta, ma il danno alla sua reputazione è permanente. E l’accusa, sentendosi così umiliata e messa in imbarazzo, dopo aver investito così tante risorse per cercare di condannarlo, cominciò a dire che la motivazione era il suo status di celebrità. Sneddon e Zonen se ne uscirono con questo tipo di giustificazione per la loro sconfitta. E i media sembrava quasi che fuggissero dal processo, erano così imbarazzati dal modo in cui avevano riferito il processo e da quello che avevano predetto che sembrava volessero semplicemente buttarsi sulla storia successiva. Santa Maria passò dall’essere una metropoli mediatica a una città fantasma nel giro di 2 giorni. Penso siano semplicemente scappati tutti per il modo in cui avevano riportato ingiustamente il processo. Perciò, tornando alla domanda, penso che la sua reputazione abbia recuperato da tutto questo? Probabilmente no, per le ragioni appena espresse da Charles. Le persone non erano in aula e presumevano che lui fosse colpevole semplicemente perché questo era ciò che i media raccontavano loro e presumevano che era riuscito a farla franca. L’accusa venne fuori a dire che un fattore era stato lo status di celebrità e bla bla bla… Zonen, da mocciosetto, andò in giro a dire che avevamo avuto una giuria di idioti! Ricordo che 4 o 5 anni fa ci fu un simposio e Zonen ha provato a dire che i giurati non erano persone intelligenti e io ho detto: beh, vediamo, avevamo un insegnante di matematica, con una laurea master; un ingegnere civile, con una laurea in ingegneria; il portavoce era un insegnante in pensione con un master in psicologia; avevamo chi prestava servizio nelle agenzie di servizio locale e avevamo persone dell’ambiente militare, che erano molto argute e disciplinate. Non erano affatto giurati stupidi. Ma i procuratori, essendo stati così umiliati, iniziarono a dire cose simili nelle loro interviste e i media scapparono collettivamente dall’ingiustizia che loro stessi avevano creato. E per questo, probabilmente, Michael Jackson non ha ottenuto la discolpa che meritava. Ma certamente, il fatto che lui ne sia uscito senza nemmeno una condanna per un reato minore incluso deve significare qualcosa, anzi, dovrebbe significare molto.

Jamon: E Tom, lavorare con Michael l'ha cambiata come persona?

TM: Assolutamente sì. Anzitutto, su un piano personale, io non sapevo cosa aspettarmi la prima volta che ho incontrato Michael Jackson. Lui si è rivelato così alla mano, una persona così bella con cui lavorare, e così rispettosa nei miei riguardi durante tutto il percorso che io ero piuttosto sbalordito che la celebrità più grande del mondo fosse così alla mano quando ci sono celebrità decisamente inferiori che possono essere così arroganti e narcisiste, così piene di se stesse e offensive verso gli altri. E invece la celebrità più grande del mondo, la persona più famosa del pianeta, era così umile e gentile e aveva una tale considerazione degli altri… ero veramente sorpreso. Sicuramente, l’intero capitolo ha cambiato profondamente la mia vita sotto molti aspetti. Anzitutto, il fatto di vedere questo tipo di sforzo così ostinato per tentare di buttare giù una persona innocente, ho visto sforzi di questa natura prima, ma nulla di dimensioni tali. E penso di averli portati alla luce nel corso di questa intervista: le risorse sprecate nel tentativo di prenderlo, il modo in cui i testimoni erano intimiditi, il modo in cui hanno cercato di intimidire il team di difesa, il modo in cui i media hanno continuato a scavare su di me e sugli altri, e ovviamente hanno dovuto imparare che io stavo vivendo come un eremita, non potevano trovarmi da nessuna parte, avrebbero adorato la possibilità di mettermi in cattiva luce agli occhi della comunità. Gli sforzi messi in campo per provare a condannarlo sono stati così eccezionali che non avevo mai visto niente del genere prima. Per il caso di Blake, mi ero preparato per qualcosa di simile, ma non di queste dimensioni. Avevo visto molte ingiustizie prima, ma non su questa scala. E sicuramente, passare per tutto questo e sopravvivere a tutto questo ha avuto un effetto profondissimo sulla mia vita. E sapere che tu puoi essere la più grande celebrità del mondo e rimanere così umile e gentile verso gli altri è stata una grande lezione per me.

Jamon: Mesereau, un’ultima domanda. Secondo lei, qual è la cosa migliore che possiamo fare noi fan per l’eredità di Michael?

TM: Penso… sapete, Michael era una persona complessa. Era una persona unica, una persona diversa dagli altri. Come puoi essere un genio simile e non essere diverso? E non essere complesso, non essere unico? Io credo che non si può davvero rispettare qualcuno a meno che tu non accetti il fatto che sia umano. E per me, il modo migliore per ricordare Michael è capire che lui era un essere umano, che ha fatto i suoi errori, che poteva essere imbarazzato, che poteva calcolare male le situazioni a volte. E poi guardare al modo in cui è cresciuto, a come dev’essere stato orribile e difficile essere percepito un genio sin dall’età di 5 anni, che poteva sostenere la famiglia e portarla fuori da un quartiere povero. Che si è trovato obbligato a firmare contratti pur essendo un bambino, obbligato a provare fino alle 03:00/04:00 del mattino, ad andare in club per adulti per esibirsi, che aveva quest’enorme pressione su di lui, che probabilmente nemmeno capiva perché lui era un bambino. Potrebbe aver affrontato gelosie di altri membri della famiglia che lui neanche comprendeva perché era un bambino. Che aveva il carattere e la forza di staccarsi da questo al meglio delle sue possibilità e ha provato a guarire il mondo in molti modi unici. Per me, tutto questo la dice lunga su questo straordinario essere umano, ma si ricordi che era umano. Non guarderei a lui come una specie di divinità, direi che era una persona sensibile, gentile, rispettabile e fraintesa che ha fatto tutto il possibile per rendere il mondo un posto migliore e ci è riuscito. Questo è ciò che ho da dire.

Jamon: Da parte nostra e di tutti i nostri ascoltatori, grazie infinite per la sua onestà e per il tempo che ci ha dedicato oggi, e anche per tutto quello che ha fatto per Michael in passato e adesso, lo apprezziamo moltissimo.

TM: Grazie a voi, è stato un vero onore e privilegio parlare con tutti voi, questo è il 10° anniversario della sua assoluzione, è stata un’assoluzione, e per me è stato un grande onore essere a capo della sua difesa e non dimenticherò mai Michael. Ho davvero il più grande rispetto per tutti voi e per i fan in giro per il mondo, ho detto quello che penso con sincerità, potreste non essere d’accordo con tutto, ma ho cercato di essere onesto e voi tutti sapete quale grande affetto io abbia per lui e cosa penso di lui come persona, lui era un essere umano veramente, assolutamente meraviglioso. Grazie infinite.

 

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Sintesi intervento su King Jordan Radio:

Ho avuto la pelle d’oca riascoltando l’audio del verdetto. Ogni volta che lo riascolto mi viene la pelle d’oca, il battito del mio cuore aumenta e penso che la mia pressione sanguigna aumenti e mi ricorda semplicemente che tensione, che speciale… non so come spiegarlo, ma quella mattina mi svegliai con la sensazione che stesse per succedere qualcosa di speciale. Dentro di me, nel profondo, ero fiducioso, ma sapevo anche che tutto quello per cui avevamo lavorato poteva concludersi in un successo o in un disastro. Non sai mai cosa farà una giuria. E quando hai nelle tue mani la vita di qualcuno - la vita di chiunque è preziosa, la libertà di chiunque è preziosa – è sempre un evento di primaria importanza. Avere quella di Michael Jackson tra le mani, e tutto il mondo osserva quello che stai facendo per vedere se riuscirai a conseguire quello che hai detto di aver conseguito o se lui finirà per trascorrere il resto della sua vita in prigione, ti carica di un’enorme pressione, ma fu un giorno molto speciale che non dimenticherò mai, uno dei più grandiosi della mia vita, e quando ci ripenso sono grato a Dio e alle tante persone che hanno lottato per noi e ci sono state vicino. Ma sono anche un po' triste perché mise Michael Jackson in un’esperienza terrificante, non posso fare a meno di ricordare lo stress, la tensione, il terrore che lui ha provato e guardando al passato non sono sicuro si possa dire che lui abbia mai recuperato da quell’esperienza. La sua reputazione e la sua eredità sono state preservate, ma penso che il suo spirito si ruppe. E anche se, come ho detto, quello è stato uno dei giorni più grandiosi della mia vita, mi fermo a pensare che quel giorno ci fu in conseguenza di un’enorme ingiustizia compiuta ai danni di un uomo meraviglioso, che non era preparato né fatto per vivere un’esperienza del genere. E per quanto sono felice e onorato di essere stato a capo della sua difesa e di essere riuscito a concludere con successo quella storia, non posso fare a meno di pensare a quanto lui ne sia stato terribilmente ferito. Perciò, quello fu un giorno di emozioni estreme, ma per quanto grandioso, accadde perché un essere umano davvero speciale e innocente fu messo in una situazione orribile di tortura di cui non avrebbe dovuto far parte. Fu un grande giorno per la giustizia e per la libertà, ma c’è sempre il ricordo che un’anima, che non sarebbe dovuta passare per un’esperienza simile, fu torturata... Sono molto intuitivo quando si tratta dei giurati. Non ci ho preso tutte le volte, ma per buona parte della mia carriera sì e penso che l’intuito sia molto importante quando si procede a selezionare i giurati. In quel procedimento, andai contro i consigli di molti su come gestire la giuria. Per prima cosa, fui molto criticato per non aver tentato di spostare il processo fuori da Santa Maria. Come ho raccontato spesso, prima del processo andavo in giro da solo per Santa Maria, frequentavo bar, ristoranti, facevo semplicemente le mie cose, bevevo un bicchiere di vino, ero nei miei abiti casual e capitava che qualcuno si avvicinasse e mi chiedesse se ero l’avvocato di Michael Jackson e io rispondevo di sì e mi chiedevano cosa stessi facendo. Io dicevo che ero lì solo per entrare in contatto con quella comunità, per conoscere i posti, perché all’epoca pensavamo a un processo molto più lungo, e io parlavo con persone a caso, volevo sapere cosa pensassero di Michael Jackson. E avevo la forte sensazione che loro non gli fossero ostili, erano decisamente contro quelle accuse orribili, che per me sono peggiori di un’accusa di omicidio, ma sentivo che avrebbero tenuto una mente aperta. E chiedevo loro di Sneddon, del suo ufficio come procuratore, e la mia sensazione è che loro non avrebbero semplicemente fatto affidamento su quello e non avrebbero semplicemente eseguito quello che loro volevano. Perciò, la mia sensazione fu che saremmo riusciti ad ottenere una giuria imparziale, quello era il posto in cui Michael viveva e impiegava centinaia di persone, lui era una celebrità che avrebbe potuto vivere ovunque, ma aveva scelto quella comunità, perciò pensai che quello era il posto giusto per affrontare il processo. E fui molto criticato dai vari analisti legali, e avevo i media contro di me, loro speravano di avere qualcuno che passasse loro informazioni dall’interno. E ricordo che quando presi il caso, Geraldo Rivera per una settimana mi attaccò nel suo programma, lui voleva che tornassero Geragos e Brafman perché pensava che loro avrebbero collaborato con lui molto più di quanto avrei fatto io. I media sapevano che non avrei assecondato le loro richieste e non ero alla ricerca di comparsate in tv. Quello che loro volevano era nell’interesse del loro business. E ricordo di essere stato criticato da Diane Dimond per aver liquidato un giurato proveniente dal sud della Contea. Avevo fatto delle ricerche prima della selezione e sì, era emerso che le persone che vivevano a sud della Contea erano più liberali rispetto a quelle che vivevano a nord della Contea, ma queste ultime erano molto orgogliose nel loro senso di appartenenza alla comunità. Perciò, se avessi tenuto quel giurato, avevo la sensazione che coloro che vivevano nel nord della contea l’avrebbero vista come una mia mancanza di fiducia in loro. Non volevo offendere la comunità e volevo mostrare loro rispetto nel considerarli capaci di gestire un processo in modo giusto e onorevole. Loro erano molto conservatori, ma molto orgogliosi, persone che ritengono che il governo non debba interferire nelle loro vite. Perciò, misi insieme tutto questo, le mie ricerche, le mie esperienze, le mie sensazioni e il mio intuito e decisi che saremmo rimasti lì e avremmo avuto un processo equo. E poi una consulente per la giuria portò i risultati della sua ricerca sul fatto che le donne in generale, e soprattutto le mamme, sarebbero state un disastro per noi. Ma io dissi: “Apprezzo il tuo lavoro, però io voglio donne e voglio madri!” e avevo le mie personali ragioni per fare questo. Michael era un Genio, molto eccentrico, molto creativo, con istinti creativi e stile di vita diversi da quello di tante persone e sapevo che da parte dell’accusa ci sarebbero stati bianchi eterosessuali che avrebbero attaccato la sua sessualità in molti modi diversi. Stavano cercando di insinuare che era attratto dai ragazzini, in alcune domande che era gay, in certe altre domande che era asessuale, loro speravano che i giurati avessero un pregiudizio contro di lui. Sneddon e Zonen ripetevano questa mantra che lui dormiva con dei ragazzini, ma io credevo al fatto che i giurati avrebbero tenuto una mente aperta  e in generale ho riscontrato che le donne tendono a giudicare molto meno degli uomini quando è sotto attacco la sessualità di qualcuno, gli uomini tendono a giudicare di più, hanno molta più insicurezza per quel che riguarda la sessualità. Perciò, seguii il mio istinto e volevo donne in questa giuria. Mettemmo insieme persone molto intelligenti, avevamo un insegnante con un master in matematica, avevamo un ex preside di un liceo con un master in psicologia, un ingegnere civile, avevamo una donna che gestiva delle agenzie di servizio locali, avevamo persone con un’educazione militare, e io seguii semplicemente il mio istinto più che dare ascolto a chiunque altro. I procuratori stavano facendo una sorta di gioco, guardai questi 3 procuratori bianchi, con scarsa esperienza nella comunità afroamericana, e dissi a me stesso: “Loro pensano che io stia disperatamente cercando di avere un nero tra i giurati” perché in mente loro la maggioranza dei neri era favorevole a Michael Jackson. Comparve una donna nera nel gruppo dei potenziali giurati e loro la rimossero, io feci obiezione e il giudice la respinse. Comparve una seconda donna nera, io feci un’altra obiezione e il giudice respinse anche quella. E poi c’era un giovane ragazzo nero nei sostituti e io percepivo che i procuratori credessero che avrei fatto di tutto per portarlo nei 12 giurati. E questo non era assolutamente vero, il mio approccio era nel rispetto del fatto che Michael Jackson ha portato tutte le razze a essere unite, così come tutte le religioni e tutti i gruppi etnici. Lui non divide le persone, lui le unisce. E io non pensavo di aver bisogno di un nero o di un afroamericano per vincere questo caso. Perciò, quando accettai quel gruppo, loro erano scioccati. Io ero sotto pressione, Michael e la sua famiglia speravano che ci fosse qualcuno a rappresentare gli afroamericani nella giuria, ma dissi loro: “Fidatevi di me, sono sicuro di quello che sto facendo”. Tornare indietro a quei momenti non è facile, fu un periodo molto difficile per me, nel mezzo della selezione dei giurati persi la mia unica sorella, più piccola di me, per un cancro, ed ero da solo, avevo perso mio padre anni prima, mia madre non era in buona salute, per fortuna ricevetti dell’aiuto, ma fu un periodo davvero duro, ero crocifisso per qualsiasi cosa facessi, provavano a indebolire il mio rapporto con la famiglia Jackson, c’erano molte persone invidiose, avvocati che volevano rientrare nel caso, ma per fortuna riuscimmo a superare tutto questo e io sono così onorato di aver guidato la sua difesa, ma, lo ripeto, c’è anche tristezza perché lui non sarebbe dovuto proprio passare per un’esperienza così tremenda… Ci sono stati momenti in cui giacevo nel mio letto e chiedevo solo che Dio mi guidasse perché era una situazione complicatissima, c’erano così tanti poteri forti contro di noi che cercavano di indebolirci, sapevo che interessi nei media, interessi affaristici su Michael avrebbero cercato di incastrarmi. Io ero molto consapevole dei vari testimoni, degli incontri con loro condotti da altri investigatori piuttosto che da me perché ero preoccupato che anche incontrando i testimoni, con altri a testimoniare l’incontro, qualcuno sarebbe corso dai media o dall’accusa a dire cose tipo: “Mesereau mi ha offerto questo, Mesereau ha cercato di corrompermi, Mesereau ha cercato di compromettere o cambiare quello che stavo dicendo o ha cercato di convincermi a cambiare le cose”. Non sapevo chi avrebbe fatto cosa per cercare di buttarmi fuori dal caso. Quindi, avevo questo problema. Come ho detto prima, c’erano forti poteri mediatici che erano contro di me perché volevano qualcuno che li aiutasse con i loro programmi e i loro ascolti passando loro informazioni sotto banco, e l’ufficio dei procuratori era molto aggressivo, volevano intimidire il team della difesa. Per esempio, quando sui media comparvero alcune informazioni favorevoli a Michael o negative sugli Arvizo, loro fecero annunci sul fatto che stavano indagando sulla fonte di quelle informazioni trapelate e che se avessero trovato chi c’era dietro lo avrebbero perseguito per aver ostruito la giustizia. E penso che quello fosse un modo per intimidire gli avvocati della difesa, gli investigatori della difesa. Avevamo quel problema, avevamo l’ufficio del procuratore di Santa Barbara che aveva assunto una società di pubbliche relazioni per diffondere notizie che fossero favorevoli alla loro parte, ci furono cose trapelate dal procedimento del Grand Jury, una cosa inammissibile dal mio punto di vista perché quello doveva rimanere confidenziale. E ripeto che c’erano avvocati molto invidiosi che provavano a mettermi in cattiva luce con i Jackson, che andavano a Neverland per provare a parlare con Michael, c’erano attacchi da ogni parte e qualche volta ne ero sopraffatto. Ma non ho mai fatto vedere le mie reazioni, che fossero giorni positivi o negativi. Non ho mai mostrato la soddisfazione per controinterrogatori andati molto bene, cosa che successe molti giorni. Le dinamiche e l’atmosfera in un’aula di tribunale possono cambiare da un momento all’altro. Perciò, ho chiesto a Dio di guidarmi e mi sono dedicato esclusivamente al caso, andando a letto alle 19:30, massimo alle 20:00 e svegliandomi alle 03:00 ogni mattina e i media non potevano trovarmi da nessuna parte, sapevo che loro avrebbero cercato di mettermi in una posizione compromettente avendone la possibilità perché non ero percepito esattamente con un loro amico. E dopo il verdetto, Barry Gordy, il fondatore della Motown, mi disse che con le assoluzioni che avevamo raggiunto eravamo costati miliardi di dollari ai media. Io sono orgoglioso di dire che ho sempre fatto un lavoro onorevole il meglio che ho potuto per difendere Michael Jackson e per preservare la sua libertà… Penso che sia partito tutto da quell’accordo firmato con i Chandler da Howard Weitzman, che all’epoca rappresentava Michael Jackson, penso che quell’accordo abbia cambiato la sua vita per sempre volgendola al peggio. Michael mi disse che non voleva fare quell’accordo e Randy Jackson che è suo fratello, con cui ho pranzato a San Francisco qualche mese fa, mi ha detto che Johnnie Cochrain voleva provare ad andare a processo, ma fu Howard Weitzman a voler chiudere il caso con un accordo. Questo è ciò che lui mi ha detto. Io non sono stato testimone di quegli eventi, non c’ero all’epoca, ma credo che sia stato il peggior consiglio che abbia mai ricevuto e qualcosa che ha portato a questo processo penale. Si ricordi che il processo penale non ha coinvolto solo le accuse degli Arvizo, secondo le leggi della California i procuratori hanno tentato anche di provare che Jordan Chandler fosse stato molestato, che Wade Robson fosse stato molestato, che Brett Barnes fosse stato molestato, che McCauley Culkin fosse stato molestato. Ma io credo che quell’accordo fu l’inizio della fine per Michael Jackson. E per me, è il peggior accordo nella storia del diritto. Il giudice consentì che l’accordo di Weitzman entrasse nel mio processo come materiale probatorio dell’accusa. Perciò, la mia difesa non fu solo contro le accuse degli Arvizo, dovetti affrontare anche le accuse che Chandler e altri fossero stati molestati. E il giudice ammise come prove che Michael Jackson aveva concluso un accordo con i Chandler e l’accordo con Jason Francia. Perciò, dovetti combattere contro tutto questo in un solo processo. Weitzman ha dichiarato che lui era contrario a quell’accordo, ma io non ci ho creduto nemmeno per un secondo, l’ho detto ripetutamente. La firma sul documento che è disponibile su internet è la sua e se si guarda il bellissimo documentario di David Gest “Michael Jackson: A Life o fan Icon” si vede Weitzman alla conferenza stampa per annunciare quell’accordo. E in base alle informazioni che mi sono state date, fu lui l’avvocato che spinse per concludere quell’accordo. Michael è arrivato al processo penale del 2005 per colpa di quell’accordo, non ha mai recuperato ed è stato esonerato da un punto di vista legale, ma emotivamente ne è stato segnato per sempre, anche se noi siamo riusciti a vendicarlo non solo per le accuse degli Arvizo, ma anche per quelle di Chandler e di Francia… Quando ero un giovane avvocato, pensavo che l’arringa finale servisse a far cambiare idea ai giurati, ma procedendo nella mia professione ho capito che quando si arriva a quel momento, gran parte dei giurati hanno un’idea abbastanza chiara di come intendono entrare nella camera di consiglio e fondamentalmente con l’arringa finale si danno ai giurati che sono propensi per te o si trovano a metà strada le informazioni con le quali loro argomenteranno in tuo favore nella camera di consiglio. Perciò, quello che cercai di fare nella mia arringa finale fu dare a qualunque giurato che fosse aperto nei nostri confronti, tutte le informazioni di cui potevano aver bisogno: tutte le bugie, tutte le contraddizioni, tutte le estremizzazioni, tutte le problematiche dei testimoni dell’accusa e del loro caso… Riguardo alla decisione del giudice Beckloff di respingere il reclamo probate di Robson, mi spiace che ci sia voluto tutto questo tempo, sono felice che finalmente lo abbia fatto. L’ho detto sin dal primo giorno che quel caso era assurdo. Sono contento che il giudice lo abbia respinto, penso sia stata fatta giustizia, e spero che la Corte d’Appello concordi con la sentenza del giudice. Ma sono sorpreso che ci sia voluto tutto questo tempo per respingerlo… Le accuse di Safechuck sono altrettanto ridicole, lui è semplicemente salito sul carrozzone delle accuse assurde di Robson e se tutto va bene finirà allo stesso modo, le accuse di entrambi sono state depositate tardi e, per quel che mi riguarda, sono false, perciò non penso che andrà più lontano di lui. Se si sia effettivamente sposato a Neverland, francamente ho un ricordo vago di quel mio interrogatorio e di ciò su cui basai questa mia domanda, è ovvio che all’epoca certamente credessi che fosse successo a Neverland, ma non ricordo i fatti per rispondere a questa domanda… Ho conosciuto Frank Dileo durante il processo, lui trascorse molto tempo con la famiglia, con Michael, mostrando il suo supporto e l’ho conosciuto un po' meglio dopo il processo, quando non avevo più la preoccupazione di ciò che dovevo fare. E Frank è sempre stato molto gentile con me e un sostenitore di Michael Jackson molto leale. Io posso dire solo cose positive su Frank Dileo. Sapete, chiunque sia stato coinvolto negli affari di Michael Jackson sembra sia diventato controverso, a volte ci sono stati degli alti e bassi, ma il mio ricordo di Frank è buono, penso fosse un tipo rispettabile che è stato accanto a Michael nel suo momento più difficile… Noi non abbiamo mai avuto intenzione di chiamare Safechuck a testimoniare durante il processo del 2005, non so se Michael abbia parlato con lui, io non ho mai parlato con Safechuck e non so davvero di cosa stia parlando quando racconta che Michael volesse farlo testimoniare alla fine del processo… Sono stato benedetto di aver guidato la sua difesa, di averlo conosciuto, di essere stato chiamato a difenderlo nel suo momento peggiore, è stato l’apice della mia carriera e mi sento onorato di essermi trovato in quella posizione. Grazie Jordan per avermi ospitato nel tuo programma e per il lavoro che fai affinché le persone ricordino chi era davvero Michael Jackson.

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